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Conoscere, capire e contrastare lo sperpero alimentare

Tenetevi forte: secondo il Food Waste Index Report 2021 dell’UNEP, il programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, nel corso del 2019 sono state sperperate 931 milioni di tonnellate di cibo. 931-milioni-di-tonnellate. 

Tenendo conto della popolazione mondiale attuale, che corrisponde a circa 7,85 miliardi di persone, ed eseguendo un semplice calcolo, si ottiene un risultato che fa accapponare la pelle: uno spreco medio pro capite di oltre 118 chili a persona. Una cifra spaventosa se si considera che nello stesso anno circa 690 milioni di persone hanno sofferto la fame e tre miliardi non hanno potuto permettersi una dieta sana. Sempre l’UNEP, a questo proposito, sottolinea come lo spreco domestico pro capite non accomuni i Paesi ricchi, bensì le fasce di reddito, a prescindere dalla ricchezza del Paese. Quindi non è una questione di origine ma di status: un ricco industriale italiano è probabile che sprechi quanto un suo omologo in Vietnam, in Cile o in Ghana. 

Presumo che questa botta improvvisa di informazioni possa avervi confuso e abbattuto un attimo. Chi è questo? Cosa vuole dirci? Perché mi rovina il mercoledì pomeriggio con questa pappardella? Bene, cominciamo dall’inizio. Oggi vorrei parlarvi di sperpero alimentare e in particolare di cosa abbiano in programma le istituzioni e i governi nazionali per combattere questo fenomeno. Ma non solo: vorrei condividere con voi alcune realtà interessanti in cui mi sono imbattuto e che possono aiutare, nel nostro piccolo, a capire e contrastare meglio lo sperpero di cibo. 

Ottimo, cominciamo.

Innanzitutto è importante capire bene di cosa stiamo parlando. Secondo la FAO, l’organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, lo sperpero alimentare si declina in due dimensioni: la perdita di cibo e lo spreco alimentare. Per perdita di cibo s’intende la riduzione non intenzionale del cibo destinato al consumo umano che deriva da inefficienze nella catena di approvvigionamento. Il termine spreco alimentare si riferisce invece allo scarto intenzionale di prodotti commestibili, soprattutto da parte di dettaglianti e consumatori, ed è dovuto al comportamento di aziende e privati. Con sperpero alimentare, quindi, si fa riferimento alla combinazione dei due termini precedenti.

Sempre secondo la FAO, in uno studio del 2013,  il 54% dello sperpero alimentare si verifica in fase di produzione, raccolta e immagazzinamento, mentre il 46% avviene nelle fasi di trasformazione, distribuzione e consumo. 

In linea generale, nei paesi in via di sviluppo le perdite di cibo avvengono maggiormente nella fase produttiva, mentre gli sprechi alimentari tendono ad essere più elevati nelle regioni a medio e alto reddito. Per quanto riguarda la fase produttiva, la FAO sostiene che le cause delle perdite al momento del raccolto sono molteplici, tra cui tempismo sbagliato, cattive condizioni meteorologiche e tecniche e attrezzature inadeguate. Allo stesso modo, nella fase successiva, possono pesare la mancanza di buone infrastrutture per il trasporto e per l’immagazzinamento e di una buona strategia di marketing. Al livello del consumatore, invece, incidono l’acquisto sconsiderato di prodotti (“Offerta: dodici chili di carciofi freschi a sette euro”),  la tendenza a preferire prodotti esteticamente belli (a chi non è capitato di comprare pomodori rosso fuoco, grandi come pugni, e di lasciarne altri minuscoli e macchiati sul fondo della cassetta della frutta?) e la confusione relativa alle espressioni “da consumare entro il” e “da consumarsi preferibilmente entro il”. Come riporta l’EFSA, l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, la Commissione europea ha stimato che fino al 10% degli 88 milioni di tonnellate di sprechi alimentari prodotti ogni anno nell’UE sia connesso all’indicazione della data di scadenza sui prodotti alimentari. La dicitura “da consumarsi entro il” apposta sui cibi riguarda la loro sicurezza: gli alimenti possono essere consumati fino a una certa data, ma non dopo, anche se hanno un bell’aspetto e un buon odore. La dicitura “da consumarsi preferibilmente entro il” si riferisce alla qualità: quel cibo sarà sicuro da consumare anche dopo la data che figura in etichetta, ma potrebbe non essere nelle condizioni ottimali (vedi riso, pasta, olio etc).

In ogni caso l’aspetto più preoccupante di tutta la questione lo evidenzia proprio la FAO: più in là nella catena alimentare un prodotto va perduto, maggiori sono le conseguenze ambientali per il pianeta, dal momento che i costi ambientali sostenuti durante la lavorazione, il trasporto, lo stoccaggio ed il consumo devono essere aggiunti ai costi di produzione iniziali. Lo studio dell’UNEP citato all’inizio, stima che l’8-10% delle emissioni globali di gas serra siano dovute al cibo che non viene consumato, con un pesante impatto sui sistemi di gestione dei rifiuti e sul consumo di risorse. Pensate quanta acqua, soldi e sforzi vengono sprecati ogni anno per alimenti che non verranno mai consumati.

Ma cosa stanno facendo di concreto le istituzioni internazionali e i governi per contrastare questa piaga?
In linea con l’Obiettivo di sviluppo sostenibile 12.3, individuato dalle Nazioni Unite nella cornice dell’Agenda 2030, con l’obiettivo di dimezzare lo spreco alimentare globale pro-capite e di ridurre le perdite di cibo, l’Europa ha lanciato due iniziative a contrasto dello sperpero di cibo. La prima è la “Piattaforma UE sulle perdite e gli sprechi”, un organo che riunisce attori pubblici e privati per assistere la Commissione e gli Stati membri nell’individuazione di azioni che possono aiutare la prevenzione degli sprechi lungo la filiera di produzione e distribuzione. Come riporta uno studio del CREA, il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria, la piattaforma dovrebbe garantire supporto scientifico alle attività di misurazione dello sperpero alimentare, una valutazione dello stato di avanzamento nella implementazione della legislazione comunitaria in materia, la promozione delle iniziative di redistribuzione di cibo agli indigenti e campagne di sensibilizzazione e informazione sul tema della prevenzione dello spreco alimentare. Un’altra iniziativa rilevante dell’Unione, che non tocca direttamente la tematica dello sperpero alimentare, ma che ne può determinare in maniera rilevante il contrasto, è la strategia Farm to Fork. Come spiega Slow Food, la strategia Farm to Fork dovrebbe guidare l’Unione nella transizione verso un sistema alimentare equo, sano e rispettoso dell’ambiente. Questa è la prima volta che l’Unione europea cerca di progettare una politica alimentare che proponga misure e obiettivi che coinvolgono l’intera filiera alimentare, dalla produzione al consumo, fino alla distribuzione. L’obiettivo di fondo è rendere i sistemi alimentari europei più sostenibili di quanto lo siano oggi. Ogni Stato membro dell’UE, quindi, dovrà seguire le linee guida della strategia, adottando norme a livello nazionale che consentano di contribuire a raggiungere gli obiettivi stabiliti.                                                                                                                                            

E l’Italia? Come scrive il CREA, l’Italia ha sviluppato una particolare sensibilità per quanto riguarda il tema delle eccedenze, del recupero e dello spreco alimentare. La legge n.155/2003, detta del Buon samaritano, ha consentito di avviare programmi di donazione e recupero degli alimenti. Un percorso finalizzato con la legge n.166/2016, che prevede una serie di semplificazioni volte ad incentivare la redistribuzione delle eccedenze di cibo e farmaci per finalità di solidarietà sociale. In particolare, la legge 166 vuole favorire il recupero e la donazione delle eccedenze alimentari, destinandole all’alimentazione degli indigenti, e contribuire ad attività di ricerca, informazione e sensibilizzazione dei consumatori e delle istituzioni.
Quanto fatto finora dalle istituzioni è sicuramente rilevante, ma nonostante le buone intenzioni, tutto ciò potrebbe non essere sufficiente per contrastare il fenomeno. Quindi cosa manca? Alcune realtà hanno avanzato delle proposte che potrebbero favorire l’azione contro lo sperpero alimentare. In un report promosso dal Milan Urban Food Policy Pact, un’iniziativa lanciata dal Comune di Milano sulla scia dell’Expo del 2015, le amministrazioni pubbliche vengono invitate ad aumentare la consapevolezza dei propri cittadini in materia di sprechi e scarti alimentari attraverso eventi e campagne mirate. Viene inoltre auspicata una maggiore collaborazione del settore pubblico con il settore privato, enti di ricerca e organizzazioni del territorio per sviluppare e riesaminare politiche e normative comunali per la prevenzione degli sprechi alimentari.                                                                                                

Secondo la FAO, quando sono presenti eccedenze alimentari è necessario ricercare mercati secondari o donare il cibo eccedente ai membri più vulnerabili della società. Se il cibo non è idoneo al consumo umano la seconda alternativa è quella di destinarlo all’alimentazione del bestiame. Laddove il riutilizzo non fosse possibile, si dovrebbe pensare a riciclare e recuperare l’eccedenza di cibo: riciclaggio dei sottoprodotti, decomposizione anaerobica, elaborazione dei composti e incenerimento con recupero di energia. Il cibo non consumato che finisce per marcire nelle discariche, infatti, produce metano, un gas serra particolarmente dannoso per l’ambiente. Sempre la FAO, in un altro articolo, afferma che a livello di produzione le perdite di cibo possono essere significativamente ridotte favorendo la formazione degli agricoltori sulle pratiche e le tecniche migliori da utilizzare e incentivando la loro partecipazione a cooperative o associazioni professionali.                                                      

Bene, questo valeva per amministrazioni e produttori. Ma noi cosa possiamo fare di concreto? Beh, le cose da fare sarebbero molte. A questo link, il ministero della salute fornisce alcune linee guida molto valide da utilizzare nella vita di tutti i giorni, sia in cucina che in bottega.  Qui, invece, la Piattaforma UE sulle perdite e gli sprechi fornisce una visione d’insieme sulle azioni che istituzioni, produttori, rivenditori e consumatori dovrebbero adottare per contrastare lo sperpero alimentare.                                                                                            

Se volete approfondire ulteriormente la questione i nostri amici Mara Moschini e Marco Cortesi hanno fatto uscire la seconda stagione di Green Storytellers, totalmente incentrata sui temi dello spreco alimentare e della lotta alla fame. Infine, sulla pagina web di Too Good To Go, app danese che permette di acquistare cibo invenduto a prezzi ridotti, è presente una sezione molto interessante che fornisce tantissime indicazioni sullo sperpero alimentare e sulle azioni quotidiane che possiamo adottare per contrastarlo.

Le realtà descritte nell’articolo sono state citate senza fini pubblicitari.

Marzio Fait

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